Introduzione

Ci sono settimane in cui dormo cinque ore a notte.
Non lo dico con orgoglio, ma nemmeno con vergogna. Perché per me — e per molti come me — il lavoro è più di una professione: è una necessità esistenziale.
Ho bisogno di creare, dirigere, costruire progetti, immaginare, mettere le mani in qualcosa. Lo sento a livello profondo. E a volte, per seguire questa spinta, finisco per trascurare il riposo. Ma ogni volta, inevitabilmente, il corpo e la mente presentano il conto.
E allora serve fermarsi. Non per mollare. Ma per rientrare in sé.


Una spinta che viene da lontano

Non credo che questo bisogno mi appartenga soltanto.
Credo di averlo ereditato.

Mio nonno, 70 anni, è andato in pensione un po’ di anni . Due anni fa ha iniziato a costruire una casa da solo. Non perché gli servisse. Ma perché si annoiava. Perché stare fermo per lui è un tormento.

Mio nonno in vacanza. Il pensiero era ancora tra gli animali e i campi.

L’anno scorso l’ho portato al mare una settimana. Una vacanza vera, senza orari.
Eppure, ogni giorno mi parlava delle sue galline, delle recinzioni da sistemare, delle piante da irrigare. Non per ansia: per affetto. Lui non lavora per dovere. Lavora per amore.
E io, crescendo, mi sono accorto di assomigliargli più di quanto pensassi.


Il riposo non è l’opposto del lavoro

È facile pensare che “staccare” sia l’antitesi del produrre. Che riposarsi voglia dire allontanarsi da ciò che si ama fare.
Ma con il tempo ho capito che non è così.

Il riposo, per chi lavora per passione, è un ritorno al centro. È quello spazio vuoto da cui può nascere nuova energia. È il momento in cui il cervello smette di performare e inizia a metabolizzare, capire, immaginare.

In barca ho riscoperto la bellezza di non pensare a “nulla”. E la necessità di farlo.

Le rare volte in cui riesco a staccare davvero — magari in mezzo al mare — non mi sento meno me stesso.
Mi sento più lucido, più stabile, più profondo. Il riposo non è una pausa. È un atto creativo.


Il rischio della dipendenza

Quando il lavoro è anche vocazione, il confine tra dedizione e dipendenza è sottile.
Spesso, dietro lo slancio produttivo, si nasconde anche una fuga: dal silenzio, dall’inquietudine, o dal vuoto. E allora è ancora più importante sapersi fermare, anche quando tutto ci spingerebbe a fare il contrario.

Il mio lavoro mi nutre, mi definisce, mi tiene vivo.
Ma non può essere l’unico luogo dove abito.


Conclusione

Credo che il vero riposo non sia stare fermi.
È stare dove siamo, senza fretta.
È guardare il mare senza sentirsi in colpa. È camminare in un campo con le mani vuote. È riconoscere che anche la creatività ha bisogno di respiro, di spazio, di silenzio.

E forse è proprio questo, oggi, il vero lusso.
Non fermarsi per mollare. Ma per restare.